Sono le sette quando mi si spalancano gli occhi, nell’altra parte del letto non c’è nessuno, solo la luce che entra dalla finestra, e piú che calore e compagnia mi ricorda solo quanto sia doloroso riaprire gli occhi. Le pieghe del lenzuolo lasciano come dei cerchi di grano, indelebile pieghe sul materasso e piaghe sulla mia pelle. Non ho nessuna voglia di fare colazione in casa, mi lavo e mi vesto di fretta, nel terreno di battaglia che è diventata casa mia non trovo nè l’orologio, nè le sigarette. Ho giá guardato il cellulare cinque volte, nell’arco di una mezz’ora scarsa, nessun messaggio. Prima di uscire dalla porta mi fermo per due minuti buoni allo specchio, gli abiti sono piú o meno abbinati, le scarpe allacciate, e il buco sulla punta non si vede piu di tanto, metto una giacca e attraverso la soglia che mi separa dal mondo e dall’universo con tutti i suoi pianeti lontanissimi da lei. Scendo rapidamente queste scale sporche, non sono ancora le nove, ma ci sono giá troppi volti in giro, e pochi essere umani. Qualche ragazzino in ritardo corre verso la scuola piú vicina, mi spingono, mi urtano. “Guarda dove vai?” Riesco a stento a tradurre. Erano passati quattro giorni da quando sono uscito di casa l’ultima volta, mi ero chiuso tra i libri e i becher, avevo dimenticato tutto quello che riguardava me stesso, ma non una sola nozione di chimica. Passo davanti ad un edicola e anche se non sono uno che abitualmente prende il giornale, lo copro. Mi siedo in un bar qualche metro piu avanti e saltando la prima pagina, scorro la cronaca nera. Leggo ” Pochi giorni fa il cadavere di una donna è stato ritrovato chiuso in un sacco di plastica che galleggiava nel canale dell’Ourcq, alla periferia nord-est di Parigi. La donna, che non è stata ancora identificata, era stata legata in posizione fetale e aveva delle ferite sul volto, segno di una probabile colluttazione.” Ci resto male, come al solito quasi, non se ne sentivano cosi da un po’ escludendo quello che accade nelle banliues, c’è ancora gente cattiva nel mondo? Si, mi rispondo, ricordo che mio padre mi diceva che l’erba cattiva non muore mai, forse era solo un tentativo di autoconservazione, di mantenersi sano, nomostante tutti gli errori volontari e non, che ha commesso. Bevendo il caffè, che è peggio del solito, mi ricordo dei riflessi condizionati, dell’istinto e di tutti gli studi che ho svolto sulle varie turbe comportamentali che affligono me e quelli a me più prossimi. Il caffè brucia e senza neanche accorgermene ho la tazza di nuovo distante dalla mia bocca, ed era proprio cosí, mio padre quando cercava di convincersi di aver onorato la sua vita e di averla condotta con criterio e giustizia, cercava unicamente di creare dei cavilli legali, neanche troppo sottili per assolvere tutte le sue colpe che sfilavanp davanti alla sua coscienza. Proprio come quell’assassino che ancora prima di costituirsi dovrá tenere conto della sua coscienza. Un confronto che io al suo posto non potrei affrontare. Il caffè non brucia più. Lo bevo lentamente e mi accendo una sigaretta. Guardando l’orologio vedo che sono da poco passate le dieci, i primi coraggiosi turisti attraversano la strada con abitivi sportivi e sogni inverosimili, chissá tu che sei stata ritrovata come un sasso nel letto del fiume se sai che qui ora sono le dieci, che un inglese sta passeggiando calmo con la moglie, chissá se sai che il semaforo è appena diventato verde, chissá se ora ti stai bagnando anche tu nelle lacrime dei tuoi cari, proprio come me che a fine giornata, mi immergo nel Gange che è solo la mia vasca da bagno. Accendendomi un altra sigaretta penso che dovevi essere dura come il marmo, quando i vigili del fuoco ti hanno fatto risalire le acque, come il marmo su cui ti hanno stesa oggi. Poi ricordo un passo particolare della Bibbia, un lampo, nel buio di questa tempesta filosofica, in Ecclesiaste 9:5,6,10 : “Infatti, i viventi sanno che moriranno; ma i morti non sanno nulla, e per essi non c’è più salario; poiché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole……. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno de’ morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza.”
E quando smetto di recitarlo nella mia testa, sono giá di ritorno, mi è sembrata un’eternitá, da solo per questa cittá immensa, sempre e solo patetico come un cane nello spazio.
armando