Ci svegliamo nel tardo pomeriggio, come al solito abbiamo saltato il pranzo. Ha ancora sonno mentre le accarezzo sotto la maglietta, ma cerca in ogni modo di restare dolce. Decidiamo di mangiare qualcosa, mentre prepara con templi biblici un semplice piatto di pasta mi chiede se mi sento meglio. Le rispondo vagamente, ma sto meglio sul serio. In questi pochi anni di vita ho capito che mi è piú difficile di quanto pensi, esternare i codici che ho dentro. mentre lei cerca di tradurli al buio, si sente solo il suono fastidioso delle forchette che si scontrano con la porcellana dei piatti. A volte penso che gli universi interiori sono come le mappe della metropolitana di londra, che se sei un po’ più stupido degli altri, non ci capisci nulla. Entra spingendo la porta con un calcio, il caschetto e l’estintore per bagnare tutti i miei fuochi interiori e calmarmi, come quando sotto la lingua scioglievo la tachipirina. Finito di mangiare, lasciamo tutto nel lavandino “faccio io” le dico. Non mi rispondende, ha bisogno di uscire, come i cani. Andiamo a fare una passeggiata, ma è lei che porta a spasso me, ci sediamo sul ponte, mentre le luci scappano oltre i tetti di quei palazzi laggiù. “Ci hai mai pensato alla vita dei politici, ai finti artisti, a chi si sente sempre un passo avanti e in questa convinzione ci tesse delle ragnatele per incastrare gli altri”, mi guarda con gli occhi che sono dei punti interrogativi giganti e continua “ai tubi catodici dei computer, ai telefoni cellulari, la theleton, l’aids, il sussidio di disoccupazione, c’hai mai pensato alle dipendenza dalla droga, dal gioco d’azzardo, dal sesso e dal dolore? Quando cammino da sola mi diverto a immaginare che fardello si porti in braccio la gente, che passeggia con le maschere attaccate dietro la nuca, le saracinesche sugli occhi”. È davvero necessario nella catena cacciatore raccoglitore sapere tutto quello che sappiamo oggi. La guardo cercando tra i suoi capelli delle risposte adatte a quelle domande, ma vomito una ricca successione di parole, che alla fine mi sembrano non essere nulla di che. Penso che siamo tutti arrabbiati con noi stessi e con gli altri, che se avessimo avuto piu tempo da dedicare a noi stessi, oggi saremmo più alti e più belli. Ma inevitabilmente l’orologio si è portato via i tuoi giorni migliori ed è come se io mi senta un gelato ai frutti di bosco, pronto a chiuderti lo stomaco, ancora una volta, magari l’ultima. Le cravatte che quegli altri non sanno nemmeno allacciarsi, li impiccheranno, o comunque è quello che mi auguro. Mentre mi vergogno per i panni sporchi che ho lasciato nella vasca da bagno, tu accendi una candela sul mio cuore e mi gridi di non preoccuparmi. Ma sono pronto a scendere dal ponte in un modo poco convenzionale e che potrebbe spaventarla, ma le dico di non preoccuparsi, che sono testardo davvero e non mi faccio male. L’acqua è diventata scura e sembra trascinarsi via tutti i giardini diversi in cui abbiamo scopato, la memoria interna dei computer, e le promozioni telefoniche che oggi, dici, siamo convinti di aver sprecato.
armando