Non c’era molto da chiederesi su quelle persone che non vogliono altro che la libertá, ma poi si ritrovano in metropolitana all’ora di punta e in giacca e cravatta. Allora arrivano tempestivamente le scale mobile per staccare i tuoi occhi da quelli di qualcun altro. Senza il minimo movimento sono tutti in fila, in ordine, come dei leoni ammaestrati. Hai la forza e l’astuzia per far deragliare un convoglio americano all’avanguardia, con un solo tremendo ruggito sul cuore. Ma non lo fai mai e la tua criniera sferzata dal vento non ripiegherá su se stessa e non ti sporcherá l’anima. Mi risveglio totalmente sudato alle quattro del pomeriggio e con l’alito peggio del solito. Fortuna che non dorme nessuno vicino a me oggi, mi dico. Mi convinco che bastino tutte le stelle dell’universo e fondersele in corpo per ricoprire le cicatrici e comprarsi abiti costosi per rispettare la conformazione sociale piú adatta a me. Parigi brucia, lontana da me, oltre le montagne ci sono dei bagliori, ma non riusciamo a capire se sia un temporale, o una discoteca. Risparmiare le parole perchè oggi non si crede più, perchè i fogli a cui mi affido in vano costano troppo. Questo razzismo dilagante che mi fa arrabbiarre tu che cambi come cambia il vento, la vela di un vecchio veliero ligure. Attraversi l’oceano atlantico chiuso in una gabbia nella stiva di una nave, leone, ti hanno strappato alla vita, a tua madre, ma ancora non lo sai. Oltre le grate di questa prigione, solo il rumore del mare, del sonno che corre via, e delle stelle, che dal mare si vedono meglio. Dove sei stato i tuoi primi mesi di vita? La ricordi la savana? Gli indigeni che si lavano al fiume, raccolte di bacche e antilopi in fuga. Ma alla fine avevi mal di testa e ti sei addormentato, con le fauci tra le sbarre, guardando le stelle e sognando una casa.